Il 2023 sarà l’anno della vittoria dell’Ucraina contro le forze russe. È il messaggio che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha voluto lanciare questa mattina sui suoi profili social, nel primo anniversario del conflitto. “Il 24 febbraio, milioni di noi hanno fatto una scelta. Non una bandiera bianca, ma una bandiera azzurra e gialla. Non la fuga, ma la resistenza e la lotta”, ha scritto il presidente ucraino.
“È stato un anno di dolore, sofferenza, fede e unità. E quest’anno, siamo rimasti invincibili. Sappiamo che il 2023 sarà l’anno della nostra vittoria!”, ha affermato Zelensky. È difficile, al momento, dire se le parole di Zelensky si tramuteranno in realtà, soprattutto perché l’ultimo anno è stato costellato di eventi che hanno, alternativamente, fatto pendere le sorti del conflitto dall’una o dall’altra parte.
La Russia ha invaso l’Ucraina il 24 febbraio del 2022 dopo mesi in cui tutte le intelligence occidentali avevano lanciato l’allarme su un’imminente aggressione militare e dopo il fallimento di una serie di iniziative diplomatiche internazionali. I primi attacchi, condotti dalla Crimea – a sud –, dalla Bielorussia – a nord –, e dalle regioni del Donbass – a est –, già dilaniate da un conflitto che si protraeva dal 2014, sembravano poter stroncare la resistenza dell’Ucraina in poco tempo. La prospettiva di una cosiddetta “guerra lampo”, attraverso la rapida conquista di Kiev e l’instaurazione di un governo filorusso, sarebbe stata l’opzione favorita per il Cremlino e, di fatto, lo scenario più plausibile date molte delle scelte militari delle forze russe nelle prime fasi del conflitto. La Russia ha stretto le maglie su Kiev e Kharkiv, seconda città del Paese, e puntato su alcuni obiettivi strategici, come la centrale nucleare di Chernobyl, da anni dismessa, e quella di Zaporizhzhia, che tutt’ora è sotto il controllo delle forze di Mosca.
Una delle prime fasi di stallo dell’invasione è stato il lungo assedio della città di Mariupol, uno dei principali porti dell’Ucraina sud orientale, strenuamente difesa per settimane dal cosiddetto Battaglione Azov all’interno dell’acciaieria Azovstal. Il secondo momento difficile per la Russia è stata la necessaria ritirata da Kiev date le difficoltà a ottenere dei risultati e penetrare effettivamente in città, limitandosi al controllo dei sobborghi della capitale ucraina, come Irpin, Hostomel e Bucha.
Proprio quest’ultimo insediamento è divenuto uno dei luoghi simbolici della guerra, in seguito al ritrovamento di fosse comuni, oltre ad altre testimonianze sulle violenze messe in atto dalle forze di occupazione. A quel punto la Russia ha concentrato le forze sul Donbass, considerato da sempre un obiettivo primario per il Cremlino, con l’obiettivo di portare a compimento la completa conquista delle regioni di Donetsk e Luhansk. Tale scelta, tuttavia, ha comportato un arretramento nel nord est per le forze di Mosca che hanno subito la controffensiva ucraina nella regione di Kharkiv: si è trattato di un secondo importante risultato militare per Kiev, dopo la resistenza mostrata durante l’assedio della capitale, che ha seguito una serie di successi fra cui ad aprile l’affondamento dell’incrociatore Moskva, principale nave da guerra russa nel Mar Nero, e i ripetuti attacchi contro la penisola di Crimea, culminati con la riconquista dell’Isola dei serpenti.
L’attacco contro il ponte sullo stretto di Kerch a ottobre è stato un altro momento cruciale della controffensiva ucraina che, il mese successivo, ha portato alla riconquista di Kherson, oggettivamente il più importante successo militare per Kiev dall’inizio del conflitto. A questo passaggio è seguita una lunga guerra di logoramento concentratasi soprattutto nel sud est dove i russi sono tutt’ora impegnati nei tentativi di assumere il pieno controllo della regione di Donetsk.
Nel mezzo le iniziative diplomatiche che, tuttavia, hanno portato un unico risultato: i corridoi dei cereali attraverso il Mar Nero.
Dopo i primi tentativi di negoziati diretti fra Russia e Ucraina in Bielorussia, rapidamente naufragati, infatti, è la mediazione di Turchia e Nazioni Unite a portare all’apertura dei cosiddetti “corridoi del grano” che consentono la partenza e l’arrivo di navi cariche di cereali dai porti ucraini di Odessa, Chernomorsk e Yuzhny. L’intesa, nonostante alcuni tentennamenti della Russia, è ancora in vigore e ha contribuito a scongiurare una crisi alimentare a livello globale.
Le altre attività diplomatiche hanno avuto scarsi risultati, a iniziare dai tentativi che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha portato avanti per creare una zona di sicurezza intorno alla centrale nucleare di Zaporizhzhia. Tante le visite istituzionali, di cui quella più importante è stata certamente quella di lunedì scorso del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, cui è seguita anche quella del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Un’opportunità per l’Italia per confermare la sua postura contraria all’invasione russa e ribadire il fermo sostegno a Kiev e al presidente Zelensky.
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