Solo pochi giorni fa il Foglio eleggeva Brescia quale modello per la ricerca di una rinascita produttiva del paese. La nostra città come simbolo della tenuta industriale in anni bui dal punto di vista della crescita economica. Ma Brescia oggi si ritrova in prima pagina sul Corriere dell Sera come città con il rischio radioattivo più alto dell’Italia intera. Fonderie ed acciaierie sono fonti di Cesio 137, di Radio 226 e di Cobalto 60.
Lo sono state negli anni novanta, lo sono anche ora. L’ultimo caso riportato dal Corriere è quelo riguardante l’acciaieria Iro di Odolo in Valsabbia dove nel forno è finita una fonte di Cesio 137 avvolta nel piombo. Nel Bresciano oltre 86 mila tonnellate si trovano ancora dentro le aziende o in discariche realizzate senza l’isolamento del fondo. I veleni hanno raggiunto la falda sottostante.
È il caso della discarica Metalli Capra di Capriano del Colle, la più grande discarica radioattiva d’Italia, con ben 82.500 tonnellate di scorie al Cesio 137 che dormono all’interno di un parco agricolo regionale costellato di vigneti. Un’altra discarica sempre dentro un parco urbano di recente costituzione è l’ex Cagimetal, con 1800 tonnellate di scorie sempre contenenti Cesio.
Per evitare che in futuro incendi, terremoti o altre calamità naturali possano innescare un disastro ecologico, la prefettura di Brescia ha scelto come soluzione la realizzazione di bunker in cemento armato, dove stoccare polveri e tondini per due secoli.
Il primo è stato realizzato all’Alfa Acciai di Brescia, dove nel 1997 venne fusa una partita di rottame proveniente dalla Cecoslovacchia e contenente Cobalto 60 e Cesio 137. Dentro ci sono oltre 500 tonnellate di materiale contaminato.
Il secondo bunker è stato realizzato nel 2013 a Lumezzane. Nel magazzino della ex Rivadossi Metalli c’è un sarcofago di ottocento metri quadrati. Al suo interno sei container contenenti 140 sacchi di materiale radioattivo, fuso in un incidente del 2008.
Il terzo e ultimo bunker è stato ultimato nel 2016, sempre in Valtrompia: è alle Acciaierie Venete di Sarezzo, dove nel 2007 si sono fusi rottami contaminati arrivati dall’area del Caspio e dall’Ucraina.