La Corte costituzionale ha esaminato oggi in camera di Consiglio l’ammissibilità di quattro ricorsi per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato – sollevati dal Comitato promotore del referendum, dalla Regione Basilicata, dal senatore Gregorio De Falco e dall’Associazione +Europa – riguardanti, sotto vari profili, il taglio dei parlamentari nonché il relativo referendum costituzionale e le elezioni regionali, per i quali sono state fissate le date del 20 e 21 settembre (election day). In attesa del deposito delle ordinanze (previsto per domani), l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che i quattro ricorsi sono stati dichiarati inammissibili.
La Corte ha dichiarato inammissibile (relatore Giuliano Amato) il conflitto sollevato dal Comitato promotore del referendum sul testo di legge costituzionale riguardante il “taglio dei parlamentari” avente per oggetto l’abbinamento delle due votazioni, disposto dal decreto legge n. 26 del 2020 e dal Dpr 17 luglio 2020. Il Comitato promotore non ha legittimazione soggettiva a sollevare questo conflitto dato che la Costituzione non gli attribuisce una funzione generale di tutela del miglior esercizio del diritto di voto da parte dell’intero corpo elettorale.
La Consulta ha anche dichiarato inammissibile (relatore Giovanni Amoroso) il ricorso proposto dalla Regione Basilicata con riferimento sia all’avvenuta approvazione definitiva, l’8 ottobre 2019, del testo di legge costituzionale di modifica degli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione sulla riduzione del numero dei parlamentari, sia al Dpr del 17 luglio 2020 di indizione del referendum popolare confermativo. La Corte, in linea con la propria giurisprudenza, ha infatti escluso la legittimazione soggettiva degli enti territoriali, in generale, e della Regione, in particolare, perché non sono potere dello Stato ai sensi dell’articolo 134 della Costituzione.
Con riferimento al ricorso presentato dal senatore De Falco nei confronti del Senato, del governo e del presidente della Repubblica, la Corte costituzionale (relatore Nicolò Zanon) ha ritenuto che esponesse, in modo confuso e incoerente, critiche alla legge elettorale, alla riforma costituzionale, all’accorpamento delle consultazioni, all’utilizzo dei decreti legge e, infine, al procedimento di conversione in legge degli stessi, sovrapponendo argomenti giuridico-costituzionali tra loro ben distinti. Inoltre, pur sostenendo la violazione di plurimi principi costituzionali inerenti sia il procedimento legislativo sia quello di revisione costituzionale, il ricorso non ha chiarito quali attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare siano state in concreto lese nel corso di questi procedimenti. Perciò è stato giudicato inammissibile.
Con il conflitto promosso dall’Associazione +Europa, nella sua veste di partito politico, veniva contestata in particolare la previsione (contenuta nel dl n. 26 del 2020) che riduce a un terzo il numero minimo di sottoscrizioni richiesto per presentare liste e candidature nelle elezioni regionali. Secondo +Europa, omettendo di prevedere, in favore dei partiti già presenti in Parlamento, una deroga all’obbligo della raccolta delle sottoscrizioni, il legislatore avrebbe leso le sue attribuzioni costituzionali in quanto partito politico. L’inammissibilità del conflitto (relatrice Daria De Pretis) deriva dal difetto di legittimazione della ricorrente in base alla costante giurisprudenza costituzionale che nega ai partiti politici la natura di potere dello Stato.
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