La Corte d’Assise di Taranto ha condannato Fabio e Nicola Riva, ex proprietari e amministratori dell’Ilva, rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione nel quadro del processo “Ambiente Svenduto” sull’inquinamento prodotto dall’acciaieria: la pubblica accusa aveva chiesto condanne a 28 e 25 anni. Stando alla sentenza letta stamattina in aula dalla presidente Stefania D’Errico, i due rispondono di concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentare, e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Tre anni e mezzo di reclusione sono stati decisi anche nei confronti di Nichi Vendola, ex presidente della Regione Puglia, con l’accusa di concussione aggravata in concorso.
“Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. È come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata”. Le dichiarazioni a caldo di Nichi Vendola.
“Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia – prosegue – Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda. Ho taciuto per quasi 10 anni – conclude Vendola – difendendomi solo nelle aule di giustizia, ora non starò più zitto. Questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna. Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità”.