Tra gli ultimi in Europa per livelli di istruzione, con un tasso sempre più elevato di abbandono precoce degli studi e un fortissimo svantaggio per le donne e per chi vive nel Mezzogiorno, eppure anche adesso, a fronte della crisi, la laurea garantisce un ritorno occupazionale elevato: la percentuale di occupazione dei 30-34enni laureati in Italia è del 78,9%, certo, di quasi dieci punti inferiore a quella europea dell’87,7%, ma più che doppia rispetto al tasso di occupazione dei 18-24enni che abbandonano precocemente gli studi e comunque di quasi 10 punti più elevato rispetto a quello dei diplomati. Lo attesta il rapporto Istat sui livelli di Istruzione e occupazionali in Italia nel 2019. Il tasso di occupazione dei giovani laureati (e anche dei diplomati) alla fine del percorso di formazione migliora di 2,2 unti sul 2018, pur mantenendo 22,8 punti di divario dalla media Ue.
Studiare insomma conviene, persino in un Paese che offre così poco ai giovani come l’Italia, e anche se si scelgono specializzazione poco gettonate dal mercato del lavoro, come quelle umanistiche, che garantiscono comunque un tasso di occupazione del 76,7%. Certo, se si sceglie l’area medico sanitaria e farmaceutica il tasso di occupazione sale all’86,8%, il massimo, seguito dall’83,6% delle lauree in ambito scientifico e tecnologico e dall’81,2% di quelle del settore socio-economico e giuridico.
La popolazione residente nel Mezzogiorno, secondo quanto scrive Repubblica, è meno istruita rispetto a quella nel Centro-Nord: poco più della metà degli adulti ha conseguito almeno il diploma di scuola secondaria superiore e nemmeno uno su sei ha raggiunto un titolo terziario (al Centro oltre i due terzi è almeno diplomato e quasi uno su quattro ha conseguito la laurea). Tuttavia la laurea risulta comunque premiale sotto il profilo dell’occupazione, anche al Sud, anzi, in proporzione, lo è anche di più: in particolare le donne residenti nel Mezzogiorno che raggiungono un titolo terziario aumentano considerevolmente la loro partecipazione al mercato del lavoro e riducono il divario con gli uomini e con le donne del Centro-Nord.
D’altra parte in Italia il rischio di emarginazione dal mercato del lavoro e dalla società è molto più elevato che nel resto della Ue: nonostante l’incidenza dei giovani di 15-29 anni non occupati e non in formazione cali di 1,2 punti rispetto al 2018 e raggiunga il 22,2%, si tratta pur sempre di due milioni di giovani. La quota di Neet – ‘Neither in employment nor in education and training’, giovani non più inseriti in un percorso scolastico/formativo e neppure impegnati in un’attività lavorativa – è la più elevata tra i Paesi dell’Unione, di circa 10 punti superiore al valore medio Ue28 (12,5%).
L’abbandono precoce del sistema di istruzione e formazione è di rilevante importanza anche a livello europeo, la quota di 18-24enni che possiede al più un titolo secondario inferiore ed è già fuori dal sistema di istruzione e formazione è uno degli indicatori della Strategia Europa2020; per il quale il benchmark europeo è stato fissato al 10%. Livello lontano da quello italiano: nel 2019, nonostante il valore in Italia scenda al 13,5% (per un totale di 561 mila giovani).